Il commento  


 
 

IDENTITA'? Il territorio veneziano fra conservazione e innovazione 1950 - 2005
di Manfredo Manfroi ©

(Presidente del Circolo Fotografico La Gondola)

Espongono : Enrico Gigi Bacci, Francesco Barasciutti, Pier Giorgio Bonassin, Aldo Brandolisio, Paola Casanova, Bruno Cot, Sergio Del Pero,Ezio De Vecchi, Franco Furneri, Gianfranco Giantin, Manfredo Manfroi, Giovanni Manisi, Mario Mazziol, Paolo Monti, Sergio Moro, Giorgio Nicolini, Stefano Pandiani, pierocarlo N, Sandro Righetto, David Salvadori, Massimo Stefanutti, Fabrizio Uliana, Michele Vianello e l'Autore ospite Luca Campigotto.

 Con il piano regolatore del 1891 si prese coscienza dell'originalità della Venezia insulare rispetto alle altre città europee cercando di attenuare la mistica del "piccone risanatore" che a partire dalla dominazione austriaca, in concomitanza con il declino economico e lo spopolamento della città, aveva mutato non poco l'antica struttura edilizia veneziana stratificata nei secoli.

Pur in presenza di avvenimenti epocali, come la conversione ottocentesca del  "fronte" della città dal mare alla terra in virtù dell'avvento dei nuovi mezzi di comunicazione, il sorgere agli inizi del '900 del porto verso la terraferma e poco dopo il primo conflitto mondiale l'insediamento industriale di Porto Marghera, a Venezia si rafforzò una politica di "conservazione" dell'esistente guardando sempre con sospetto e diffidenza a qualsiasi nuovo progetto, anche se di grande qualità.

Se in Italia e nel mondo andò via via affermandosi il mito dell'unicità del territorio lagunare ( non è casuale il fatto che nel secondo conflitto mondiale Venezia sia stata completamente risparmiata dalle bombe come pure non è casuale che per la protezione dalle alte maree si sia scelto un modello di salvaguardia che non coinvolge il tessuto urbanistico cittadino) è pur vero che di fronte all'urgenza di problemi crescenti quali la pressante destinazione turistica dell'economia e l'emorragia dei residenti verso la terraferma non siano stati né pochi né marginali gli interventi nell'edilizia abitativa, commerciale e dei servizi anche se in misura assai più contenuta rispetto ai pesantissimi stravolgimenti della sponda di terra.

La mostra inizia descrivendo (Paolo Monti ) l'habitat veneziano alla fine del secondo dopoguerra : una città dai ritmi di vita abitudinari e ben lontana dalle gravi interferenze del turismo di massa, densamente abitata specie nei sestieri più periferici e popolari simbolicamente posti a confronto con l'attualità (Mario Mazziol) prelevando un campione, il paludo Sant’ Antonio a Castello, oggi semideserto.

Si propongono alcune delle innumerevoli occasioni di restauro o riuso (Bruno Cot, Paola Casanova, Aldo Brandolisio, Sandro Righetto, Luca Campigotto) come il gasometro a San Francesco della Vigna,lo squero di San Trovaso, lo Stucky e gli immensi spazi dell' Arsenale sulla cui destinazione si è accesa da tempo una querelle senza fine.

Si considerano poi alcuni degli interventi più significativi nel centro storico e nelle isole ( Francesco Barasciutti, Stefano Pandiani, David Salvadori, Manfredo Manfroi, Fabrizio Uliana, Gianfranco Giantin) come le aree Saffa, Junghans, Trevisan, il quartiere De Carlo a Mazzorbo, il garage del Tronchetto e anche i maldestri tentativi di inserire nuove opere d'arte nel centro storico (Sergio Moro).

Sul versante della terraferma dopo l'agghiacciante visione (Sergio Del Pero ) del villaggio San Marco all' inizio degli anni '50, "esemplare" campione dello scempio edilizio nel territorio mestrino, si punta l'obiettivo sulla viabilità (Massimo Stefanutti) e sulle novità architettoniche, commerciali e industriali (Michele Vianello, Giorgio Nicolini, Aldo Brandolisio, Pier Giorgio Bonassin) quali il Centro VEGA, gli ipermercati, l'alveare della CITA, il Laguna Palace e per finire il parco della Bissuola.

Pur composta di ottantadue immagini, sono certamente molte le omissioni, spesso di non poco conto, ma lo scopo non è l'elencazione puntigliosa di quanto fatto ( o non fatto) in questi cinquant' anni ma fornire lo spunto per una riflessione sull'identità complessiva della città, sia d'acqua che di terraferma.

Non si è nemmeno calcato la mano su una sin troppo facile critica agli errori commessi, che pur ci sono stati, anzi la straordinaria "finzione" della fotografia unita all'abilità degli operatori conferisce talvolta ai singoli esempi un'apparenza ben più gradevole della effettiva realtà.

Ciononostante, crediamo che da questa mostra che si interroga sull' "Identità?" provenga una presa di coscienza su quanto finora svolto in campo della preservazione e innovazione architettonica , su quanto va salvato e su quanto si può e si deve cambiare nel centro storico come nella terraferma imponendo una strategia di interventi in accordo ma anche in contrasto con le esigenze di un'economia e di una società che appaiono in tumultuosa e incerta evoluzione.

 LUCA CAMPIGOTTO è il fotografo ospite della mostra; nato a Venezia nel 1962 si è affermato giovanissimo come paesaggista avendo come esempio Robert Adams, Lewis Baltz e gli altri protagonisti della nuova visione americana.

E' stato assistente di Gabriele Basilico da cui ha tratto il grande senso compositivo e la qualità tecnica. Divenuto fotografo professionista fra i più conosciuti del nostro Paese si è impegnato in alcuni soggetti di particolare interesse come il Molino Stucky presente in questa mostra, Marghera, l' Egitto, la Patagonia.

Fra i volumi pubblicati ricordiamo "Venetia Obscura" edito nel 1995.

novembre 2005

 
 

top                                                                                                          indietro